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Quando il cliente ha sempre ragione (anche per i brand)

Quando il cliente ha sempre ragione (anche per i brand)

A cura di Stefano Pistore
Anche in Italia, come in altri Paesi del mondo, la customer experience sta assumendo un ruolo sempre più centrale nello studio di strategie aziendali a lungo termine. Al centro di tutto viene messa la figura del cliente, attorno alla quale vengono sviluppate le possibili alternative per soddisfarne le esigenze nei vari momenti di acquisto e di interazione col brand. Quello a cui si sta assistendo è una vera e propria sovrapposizione tra la customer experience e il brand stesso: salvo rare eccezioni (non penso che qualcuno baratterebbe la Nutella con una sottomarca solo perché la sottomarca presenta una CX migliore), il driver per la fedeltà del consumatore non è più il singolo prodotto ma è rappresentato dall’approccio che il cliente ha con il brand prima, durante e dopo l’acquisto di quel prodotto.
Questo cambiamento è ormai evidente anche all’interno delle singole aziende che mettono a disposizione dei retailer i loro servizi per allinearsi con i cambiamenti imposti dalla business transformation. Non è un caso che anche il colosso SAP Hybris abbia deciso di tagliare corto con le mezze misure, ufficializzando l’importanza del cambiamento presentandosi al pubblico con il nuovo nome di SAP Customer Experience. Durante l’ultima edizione del Netcomm Forum ho avuto modo di incontrare proprio Ivano Fossati (nella foto), COO & Head of Business Development, SAP Customer Experience EMEA South, con cui ho approfondito il discorso relativo alla customer experience, dell’omnicanalità e dei problemi di digital divide legati alla logistica. In realtà abbiamo parlato anche di aerei e di posti esotici, ma questa è un’altra storia.
SAP Uno dei temi principali che anche quest’anno ha scandito le giornate del Netcomm Forum è stato quello dell’omnicanalità: cosa manca dal lato dell’offerta affinché gli utenti possano usufruire di esperienze davvero omnicanale?
Sono anni che si parla di omnicanalità, un concetto che col tempo è stato associato a molti nomi – multicanalità, all-channel, every-channel e via dicendo – ma che di fatto ha mantenuto inalterato il suo significato. L’omnicanalità,intesa come esperienza per l’utente, è però un elemento ancora molto marginale. Questo perché molte aziende continuano a rinchiudere le strategie omnicanale in compartimenti stagni, considerando questo aspetto come un mezzo per condurre gli utenti dal canale offline a quello online, e viceversa. L’omnicanalità, invece, è un percorso unico di esperienza che i brand devono scindere dal concetto stesso di canale; quest’ultimo va considerato come un semplice strumento di trasporto per il consumatore, una commodity. Per creare un’esperienza omnicanale è necessario concentrarsi sul cliente, avere a disposizione strumenti in grado di tracciare le sue azioni in modo da ottenere le informazioni più importanti sul suo¬ conto. Ad oggi, questa componente continua a mancare, molte aziende non sono ancora in grado di profilare i propri clienti in modo efficace, così come non si è ancora sviluppata una vera e propria cultura della misurazione del dato.
Come si inverte questa tendenza?
Nell’ambito del rispetto della privacy, ogni cliente ha diritto a scegliere quello che vuole o meno condividere. I dati che un’azienda può raccogliere sono tantissimi ma non tutti sono rilevanti. È quindi fondamentale investire nella ricerca di data scientist competenti, capaci di analizzare, individuare e prelevare in tempo reale le informazioni più rilevanti nei vari momenti della vita del consumatore. L’utilità del dato, infatti, è fortemente legata all’istante in cui questo è utilizzato: nel delineare una strategia a lungo termine l’azienda avrà bisogno di informazioni più generiche; a ridosso di eventi particolari, e quindi nella formazione di strategie a breve termine, sono necessari dati più specifici. Questo per evitare di bombardare il cliente con promozioni o informazioni non desiderate e allo stesso tempo migliorare la customer experience in ottica omnicanale.
Secondo una recente ricerca proposta da Forrester Consulting, le aziende di USA, Canada e Cina sono quelle che al momento stanno interpretando meglio il rinnovamento della customer experience. Qual è la situazione in Europa?
La customer experience è una componente strategica dell’azienda, non una componente tecnologica. Per ottenere dei risultati occorre quindi investire sulla formazione di un team interno che sia in grado di lavorare ai vari progetti. Nei Paesi del Nord Europa questo concetto è sicuramente più consolidato rispetto ai Paesi del Sud e le aziende presenti in queste regioni hanno iniziato già da qualche tempo a investire sulla ricerca di figure specializzate ottenendo importanti risultati.
C’è un settore che sta vivendo una rivoluzione radicale della customer experience più di altri?
Il Grocery. L’innovazione tecnologica sta cambiando molto velocemente il modo di fare la spesa e l’obiettivo per gli operatori del settore è proporre un’esperienza che sia il più coinvolgente possibile. Il cliente vuole ottimizzare il suo tempo e le aziende devono fornire i presupposti affinché questo si realizzi. Come per altri tipi di vendita al dettaglio anche nella GDO questo sta avvenendo attraverso investimenti che mirano a digitalizzare gli store fisici e garantire un supporto al cliente che lo aiuti a riconoscere la qualità dei prodotti sia online che offline. Le aziende che operano nel settore alimentare non devono convincere i consumatori che fare la spesa online sia più conveniente che farla in un supermercato, il cliente deve sentirsi libero di andare ovunque e vivere un’esperienza eccellente da ogni canale.
Qual è il contributo della logistica a questo cambiamento?
Oggi viviamo nell’economia del “I want it all, I want it now” e il sistema logistico ha un peso determinante affinché ciò si avveri senza intoppi; più si abbattono i tempi e i processi di consegna, più il cliente sarà contento. Quando si parla di logistica si parla comunque di un processo, non si tratta solo di tecnologia: per fare una consegna occorre un’organizzazione molto vasta in grado di rispondere in tempo reale alle richieste fatte in qualsiasi momento della giornata. È poi necessario avere una strategia ben definita. Il principale obiettivo è abbattere i tempi di consegna ma per fare ciò bisogna organizzare una distribuzione capillare che può essere soddisfatta seguendo varie alternative: una soluzione è quella del classico click and collect, ritirando l’acquisto direttamente in-store; un’altra idea è affidare la consegna a terze parti e via dicendo. La gestione della supply chain diventerà quindi un business sempre più cruciale che potrebbe dare vita a un vero e proprio marketplace dove più attori mettono a disposizione i propri servizi integrati per ridurre i tempi di consegna. La questione è diversa quando si parla di prodotti personalizzati…
In che senso?
Gli oggetti personalizzati richiedono un’organizzazione logistica diversa da parte delle aziende: se un consumatore ordina una scarpa su misura il presupposto è che non vuole quel prodotto entro un’ora ma sarà disposto ad aspettare più tempo affinché venga realizzato nel miglior modo possibile. Secondo questa logica la catena logistica va strutturata considerando anche l’elemento manifatturiero. Sono quindi necessarie delle soluzioni che non siano solo front-end (focalizzate sull’ecommerce) ma che abbiano una visione end-to-end, in grado di collegare in tempo reale la fase di back office con tutto il resto.
In Italia c’è poi un problema di digital divide che fa della logistica un elemento non accessibile allo stesso modo da paese a paese. Come si colma questo gap?
Il problema esiste e nonostante la logistica non dovrebbe rappresentare una discriminante purtroppo lo è molte volte. Se un consumatore prova ad acquistare un elettrodomestico dalla maggior parte dei siti di riferimento, la spesa di consegna sarà gratuita a meno che non abiti su un isola (basito, NdR). Esiste una discriminazione da un punto di vista geografico; è vero che consegnare una lavatrice in Sicilia, in Sardegna o sull’Isola d’Elba implica un trasporto più complicato ma questo non deve avere un impatto sull’utente finale. Occorre ottimizzare il processo di distribuzione con accordi su scala maggiore ma per fare ciò deve crescere la percentuale di retailer che vendono online, una percentuale ad oggi ancora bassa in Italia. Con l’aumentare degli ecommerce chi offre i servizi di spedizione potrebbe offrire prezzi più concorrenziali e quindi ridurre quel digital divide che oggi esiste.
SAP innova e reinventa il presente con soluzioni di altissimo profilo. A quali novità sta lavorando SAP Customer Experience in ottica retail?
L’obiettivo di SAP Customer Experience è quello di coinvolgere l’utente a 360 gradi, permettendo alle aziende di proporre delle esperienze in-store e online che siano seamless e allo stesso tempo emozionanti. Sono molte le novità a cui stiamo lavorando nei nostri laboratori a Parigi e in particolar modo l’intento è digitalizzare il più possibile l’esperienza all’interno del negozio. Stiamo ad esempio testando una tecnologia che consente di riconoscere in automatico la nazionalità dei consumatori e cambiare la lingua dei price tag proponendo promozioni ad hoc. Stiamo poi sviluppando tecnologie legate all’IoT che tramite SAP Leonardo vengono introdotte nel mondo Hybris permettendo di monitorare gli oggetti presenti in-store, analizzando in tempo reale il rapporto (e quindi l’interesse) che si instaura tra un prodotto e il cliente. Si tratta di soluzioni che ovviamente vanno integrate con il valore umano: sarà il commesso che in base ai dati registrati dall’IoT potrà decidere di studiare una promozione su misura per un determinato cliente. L’importante è creare engagement e SAP Customer Experience sta investendo moltissimo affinché le nuove tecnologie possano offrire un nuovo supporto ai retailer di tutto il mondo, allineando il loro business con i cambiamenti in atto.