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Non solo moda, i brand italiani sempre più forti e competitivi

Non solo moda, i brand italiani sempre più forti e competitivi

Quando si pensa al Made in Italy l’associazione più veloce è quella che viene fatta con le grandi firme della moda o al cibo di qualità abbinato a dell’ottimo vino. L’ultimo report presentato da Brand Finance mostra invece un quadro dove le eccellenze italiane fanno capo ai settori più vari: dall’automotive al campo finanziario, passando dal mercato energetico agli elettrodomestici. Secondo la società di consulenza inglese, durante il 2017 il valore medio dei brand asset dei primi 50 brand italiani è cresciuto del 35% in più di quello dei primi 500 brand globali.
In media, tra le imprese presenti nella classifica italiana il brand asset pesa il 18% dell’enterprise value, con punte di oltre il 50% nel lusso. Le prospettive di fatturato associabili alle strategie di marca dei 50 principali brand italiani sono mediamente aumentate grazie alla più favorevole congiuntura economica, a una migliore gestione del business e al rafforzamento delle marche rispetto ai competitor internazionali. Il raddoppio a 12 unità dei brand estremamente forti – i c.d. brand AAA – ha contribuito al 3% di rafforzamento medio delle marche italiane in classifica. Questo miglioramento ha finalmente consentito di avvicinare il livello medio di influenza dei top 50 brand italiani a quelli dei principali paesi europei. Le marche posizionate nella parte alta della classifica si sono rafforzate più delle altre, aumentando così il gap tra leader e follower.

Le eccellenze italiane

Le marche che sono cresciute maggiormente in valore economico, come TIM, Gucci, Valentino, Enel hanno strategie di branding la cui dimensione ha consentito di aggiungere un contributo economico rilevante al valore delle rispettive imprese. Fiat e Generali, hanno incrementato notevolmente il loro valore, ma essendo considerati dei marchi “solo” molto forti (AA), sono più soggetti ai fattori congiunturali e di mercato. Ne sanno qualcosa Eni e Unicredit che hanno perso notevole valore rispetto al 2017. Il buon rafforzamento del brand Pirelli (AAA) ha compensato parzialmente alla notevole riduzione di fatturato dovuto all’abbandono del segmento degli pneumatici industriali, per una maggiore focalizzazione sul consumer premium.
TIM è la marca che è cresciuta maggiormente in valore rispetto al 2017. Questo brand ha saputo approfittare della buona congiuntura e ha cominciato a capitalizzare gli investimenti sull’operazione di rebranding di un paio di anni fa arrivando al secondo posto della classifica italiana e al 19° nella Brand Finance Telecoms 300. Molto bene anche Enel (AAA) e Gucci (AAA), il cui lieve arretramento in classifica non dipende da un peggioramento delle performance ma dalla travolgente crescita di TIM. In particolare, Enel si è rivelato essere il brand più forte al mondo tra le utility – performance che ha consentito a questa marca di rimanere incollata alla terza posizione nella Brand Finance Utilities 50.

I principali problemi da affrontare in futuro

Secondo Massimo Pizzo, managing director Italia di Brand Finance il dato più preoccupante è legato ai brand che non sono entrati in classifica: «Abbiamo rilevato che le marche virtualmente posizionati tra il 51° e il 150° posto sono nettamente meno influenti dei concorrenti diretti. La netta maggioranza delle imprese italiane monitorate investe meno dei competitor internazionali in innovazione, risorse umane, marketing e distribuzione, tutti elementi che concorrono al rafforzamento della marca».
Altro problema è la poco importanza che a detta di Pizzo le imprese italiane (B2B e B2C) danno alle attività di branding, ovvero alla messa punto dei fattori emozionali che sempre concorrono nelle scelte dei clienti e che in molti casi prevalgono sul prezzo e sulla qualità del prodotto o dei servizi. «Le imprese italiane – conclude il direttore – devono fare un salto evolutivo: per aumentare il fatturato, e soprattutto il margine, è necessario un miglioramento della gestione del branding. L’attenzione per la qualità del prodotto e per l’organizzazione aziendale non possono continuare a rimanere le uniche aree su cui focalizzare l’innovazione.»